Duplice omicidio Ruffano-Consiglio: assolto il boss stragista Peppe Setola, difeso dall’avvocatessa Elena Schiavone. La Dda aveva chiesto l’ergastolo e tre anni di isolamento diurno. Stamani la sentenza, con formula dubitativa, emessa dai giudici della quinta sezione della corte d’assise del tribunale di Napoli, presieduta dalla dottoressa Adriana Pangia. La difesa di Setola ha smantellato le prove della Dda che si basavano essenzialmente sulla perizia fonica dei consulenti della procura i dottori Porto, Zavattari e Cesari. I periti nella loro relazione basata sull’ascolto di alcune telefonate intercettate nel 1999 avevano attribuito al boss Setola la voce misteriosa in maniera oggettiva e soggettiva. L’avvocatessa Schiavone ha fatto ben presente che dalla telefonata si capiva perfettamente che l’inflessione della voce di colui che parlava era chiaramente napoletana e non casalese. Dunque le prove addotte dall’Accusa non hanno dimostrato il coinvolgimento del boss nel duplice delitto avvenuto ai Camaldoli. Nel corso dell’istruttoria dibattimentale, setola si è sottoposto all’esame del pm ammettendo per la prima volta solo la sua partecipazione al clan, inizialmente come un semplice affiliato con il compito di fare le percependo uno stipendio di due mili0ni delle vecchie lire al mese già nel ’97. Poi ha incominciato ad avere un ruolo più importante diventando sempre più un personaggio di spicco e affiancandosi ad Aniello Bidognetti figlio di Cicciotto ‘e Mezzanotte e a Cristofaro. Il boss però ha negato la partecipazione a questo duplice delitto e anche la commissione degli altri omicidi. “Io facevo solo parte dell’associazione, affermava il boss stragista, e la voce che è stata registrata e portata come prova per il processo Domitia, è proprio la mia. Lo ammetto ero io lo confesso e per questo chiedo uno sconto di pena”. Setola per il processo Domitia è stato condannato a 30 anni di reclusione. Il duplice omicidio Ruffano-Consiglio venne commesso il 28 aprile 1999, nel corso di una faida di camorra a Napoli sulla collina dei Camaldoli. Consiglio e Ruffano appartenevano al gruppo Cimmino-Brandi-Caiazzo che dominava la zona collinare di Napoli: all’ interno dell’ alleanza si erano create delle fratture, originate soprattutto da dissidi sulla spartizione delle attività estorsive ai danni dei commercianti. I due per uno sgarro vennero uccisi anche con l’appoggio del clan dei casalesi fazione Bidognetti. Il giorno prima a Casale c’era stato un altro duplice delitto: quello consumato all’ interno d’ una gelateria, dove vennero falcidiati i fratelli Pietro e Vincenzo Aversano. Nella sparatoria rimase ferito ad una mano anche un ragazzo di 12 anni che si trovava casualmente nel bar. All’epoca, nel 1999, a Casal di Principe era in gioco la successione al vertice della camorra locale, dopo l’ arresto del boss Francesco Schiavone, detto “Sandokan”. Periodo di grandi fermenti investigativi, di intercettazioni a tutto campo e nella rete degli agenti della polizia giudiziaria posizionati in sala d’ascolto finirono delle conversazioni captate in ambientale: una di queste intercettazioni riguardava anche Setola. Il caso è stato definito quando, per falsa perizia, venne arrestato l’avvocato Michele Santonastaso insieme ai periti che salvarono dall’ergastolo il figlio di Cicicotto e’ mezzanotte. Una prova importante del processo per il duplice delitto Ruffano-Consiglio era costituita da una intercettazione all’interno dell’auto dove stavano parlando Vincenzo Tammaro e Aniello Bidognetti. Fu per prima la Carrino, la compagna del boss Cicciotto Bidognetti a svelare agli inquirenti che si era incontrata il giorno dopo il processo con l’avvocato Santonastaso dal quale ebbe delle rassicurazioni. Sarebbe stato sufficiente corrompere un perito per aggiustare la consulenza per sparire la voce di Aniello Bidognetti e farlo così assolvere. Per questo lavoro però occorrevano 100mila euro. La Carrino su consiglio del marito pagò la somma che aveva a disposizione, perché la teneva nascosta in uno scarpone da sci. I soldi in una busta chiusa sarebbero stati poi consegnati all’avvocato. La perizia bene. Il perito accertò che quella non era la voce di Bidognetti che venne assolto insieme a Tammaro. Da quelle intercettazioni ambientali fatti nell’auto ve n’era un’altra la cui voce, secondo gli inquirenti sarebbe stata quella di Setola che in quella occasione si informava su come era andata l’esecuzione dei due ai Camaldoli. Setola all’epoca, scugnizzo rampante, venne subito poi collegato al duplice delitto. A suo carico venne emessa una misura cautelare in carcere confermata anche dal riesame. Setola per la Dda faceva parte del gruppo mandato da Bidognetti per eliminare i due napoletani. Per i giudici dell’assise Setola invece non può essere condannato, poiché la prova a suo carico non si è formata in dibattimento.
Fonte: www.noi.caserta.it articolo di Maria Giovanna Pellegrino