L’architetto come interprete della società, dei cambiamenti e delle evoluzioni culturali.
Una figura complessa, che, seppur nell’articolazione dei diversi percorsi professionali, riesce ancora a coagulare intorno a sé la molteplicità di competenze e la capacità di sintesi che si esprimono in progetti plurali ed eterogenei.
Se da un lato la frammentazione dei saperi e l’evoluzione delle discipline impongono professionalità altamente specializzate, dall’altro, a seguito della disgregazione del paradigma identitario dell’architettura, emerge la necessità di un progettista in grado di interrogarsi sul suo ruolo e sull’incidenza di questi, all’interno del tessuto sociale, e sulle responsabilità che ne derivano.
Il lineare percorso evolutivo, tuttavia, della professione dell’architetto affronta, quotidianamente, ostacoli sociali e culturali derivanti da un moderno ma distorto modus vivendi. Non è affatto raro trovare chi, volutamente, ignora tali competenze e, di propria iniziativa, manomette spazi ed opere in totale assenza di un disegno preventivo. Sono atteggiamenti diffusi che illudono la necessità di ordine compositivo e funzionale con la pretenziosa “furbizia” di poter fare bene da soli generando luoghi sgrammaticati, privi di anima e di efficacia.
L’architetto, pertanto, non può assistere, silente, né ai mutamenti in atto né all’omologazione che ha pervaso gran parte della produzione architettonica. Da qui l’esigenza di tornare a riflettere sulla complessità del pensare e fare architettura, indagando sui temi della progettazione che procedono per stratificazioni successive: dall’intuizione all’elaborazione concettuale, fino ad arrivare alla fruizione del bene. Qualunque esso sia, senza alcuna distinzione: dal microintervento alla scala territoriale.
Nel momento storico che stiamo vivendo, l’Architettura prima di essere uno strumento capace di incidere positivamente sulla vita dell’uomo, viene utilizzata sempre più spesso come un mezzo di marketing urbano e politico, arginando del tutto quelle che sono le competenze del progettista e dando vita a contesti urbani privi di essenza e di poetica.
Educare alla bellezza. Chi più dell’architetto ha la sensibilità, la conoscenza e la possibilità di migliorare, modificando, lo spazio che ci accoglie! Spazio che ormai da tempo, nella realtà casertana, è sempre più mortificato ed umiliato. Tuttavia il danno maggiore è stato inferto alla coscienza collettiva, quella coscienza che oggi non ci guida nel distinguere il bello dal brutto, ciò che è per l’uomo da ciò che annulla l’uomo.
Con queste riflessioni, la nostra categoria propone se stessa alla collettività con una definizione professionale chiara e comprensibile a tutti; assolutamente mai confusa o celata dietro paradossali forme d’arte lontane dalle comuni esigenze. Il territorio antropizzato, questo è certo, non smetterà mai di aver bisogno di noi; sta dunque alle nostre capacità sensibili ed organizzative fare il possibile perché ciò che immaginiamo non resti soltanto un’idea.
Commissione Cultura Ordine degli Architetti di Caserta
Umberto Panarella, Giancarlo Pignataro (membri del Consiglio dell’Ordine)
Elviro Di Meo (presidente)
Chiara Affabile, Antonio Buonocore, Paolo De Michele, Francesca Sabina Golia, Mascia Palmiero, Alfredo Panarella, Gabriella Rendina, Rita Vatiero