Quarantadue arresti che hanno decapitato il vertice del clan dei casalesi vicini alla fazione Schiavone, guidata da Carmine, figlio di Francesco detto ‘Sandokan’, al cui posto è subentrato Romolo Corvino dopo il suo arresto.
Un’operazione complessa quella portata avanti dai carabinieri della compagnia di Casal di Principe, guidata da Michele Centola con Salvatore De Faloco e coordinata dai magistrati della DDA di Napoli, procuratore Giovanni Colangelo, procuratore aggiunto Giuseppe Borrelli e dai sostituti procuratori, Giovanni Conzo e Luigi Adinolfi.
Le ordinanze, emesse dal Gip Francesca Ferri del Tribunale di Napoli, sono state eseguite in queste ore, ma l’indagine andava avanti fin dal 2012. Durante tutto questo periodo e con più azioni mirate che hanno portato a scovare bunker, armi e libri contabili del clan i carabinieri hanno potuto ricostruire le vicende interne al clan dei casalesi in parte alla fazione Schiavone che riusciva a gestire anche le zone storicamente appartenute al clan Bidognetti. Il clan era organizzato come una sorta di azienda che aveva una ‘casa comune’ che serviva a pagare gli affiliati della fazione Schiavone, Zagaria e Iovine.
Tutti percepivano lo stipendio: per i reclusi in carcere veniva stanziato un fisso che variava dai 1500 ai 2055 euro al mese, mentre gli operativi sul territorio potevano beneficiare di una parte dei proventi dei reati commessi dal gruppo come: estorsioni a privati e lavori pubblici, su quest’ultimi la tangente versata variava dal 3% al 5%, a cui si aggiungeva anche l’imposizione di slot machine non a norma.
Durante il corso delle indagini è stato possibile ritrovare anche alcuni dei libri contabili vergati personalmente da Carmine Schiavone. All’interno dei libri, aggiornati fino al 2013, è stato trovato l’aggiornamento degli affari del clan che aveva un volume di affari mensile di 200 mila euro, mentre altri 100 mila venivano assicurati dalle imposizione di slot machine e scommesse on line. Con questi soldi, frutto principalmente delle estorsioni, venivano pagati stipendi ed altre ‘spese correnti’ per un ammontare di 60mila euro al mese. Insomma un volume d’affari da capogiro di oltre 3 milioni e 600 mila euro all’anno, che supera quello di moltissime aziende, a fronte di una spesa quasi irrisoria a dispetto delle entrate.
Per eseguire l’attività estorsiva il clan adoperava uno dei mezzi più vili esistenti, ovvero la paura generata dalle armi e dalle minacce di morte. Durante le operazioni sono stati individuati diversi bunker dove erano nascoste anche armi da guerra come Kalashnikov, fucili d’assalto, sovrapposti e mitragliatrici. Quelle le armi del clan che servivano per chiedere il pizzo agli imprenditori.
E’ stato accertato che sono oltre 20 gli atti estorsivi a dare le disposizioni era il reggente del gruppo ovvero Carmine Schiavone attraverso summit specifici o tramite pizzini. Agli imprenditori venivano chieste cifre variabili dai 1500 euro ai 5 mila euro.
Ecco i nomi degli arrestati:
Antonio Aquilone,
Emilio Arrichiello,
Cesare Bianco,
Franco Bianco,
Luigi Bianco,
Bartolomeo Cacciapuoti,
Francesco Antonio Celeste,
Vincenzo Chiarolanza,
Ulderico Ciccarelli,
Bernardo Cirvo,
Vincenzo Conte,
Romolo Corvino,
Luigi D’Ambrosio,
Francesco D’Angelo,
Gaetano De Biase,
Giovanni Della Corte,
Cristofaro Dell’Aversano,
Nicola Di Martino,
Maurizio Fusco,
Pagano Giorgio,
Carmine Iaiunese,
Paolo Landolfo,
Benito Lanza,
Bruno Lanza,
Giovanni Maria Lasprovata,
Giuliano Martino,
Capasso Maurizio,
Carmine Morelli,
Nicola Musto,
Carmine Noviello,
Nicola Pezzella,
Renato Piccolo,
Mirko Ponticelli,
Domenico Quitigliano,
Oreste Reccia,
Alberto Rossi,
Bruno Salzillo,
Carmine Schiavone,
Mario Schiavone,
Nicola Schiavone,
Gennaro Vanacore.