E’ così!
Quando parli di Mario Biondi, non puoi che parlarne bene. Artista poliedrico, unico nel panorama musicale italiano.
Stile, classe ed eleganza (forse non nel vestire): tutte caratteristiche racchiuse in una timbrica che ricorda quella di un altro grande della musica, stavolta mondiale, come Barry White.
Ho assistito, assieme ad altre 5000 persone circa, al concerto organizzato da “La Città sotto La Città”.
Uno show di circa due ore, alle spalle dell’incantevole cornice dell’Anfiteatro Campano di Santa Maria Capua Vetere, illuminato per l’occasione dalle note dei suoi più grandi successi e di “Beyond” il suo ultimo disco, dalle sonorità miste tra soul e funk.
Mario Biondi sa intrattenere il pubblico, sa conquistare anche le orecchie più raffinate, accompagnato da trombe, sax, e tastiere. Sa sfruttare, con maestria, le sue origini sicule e mescolarle, con il suo innegabile piglio internazionale, fregandosene della critica musicale che lo dipinge troppo “ricercato” e poco “commerciale”.
Se avessi avuto la possibilità, gli avrei chiesto se la sua unicità lo avesse mai penalizzato, se l’attuale scenario discografico italiano lo avesse mai messo “alle strette”, spingendolo a piegarsi a quelle che sono le logiche di mercato, del pezzo commerciale o radiofonico.
La risposta l’ho ottenuta alla fine del concerto. Non puoi chiedere a Mario Biondi, di non essere se stesso.
Non puoi ascoltare “Blind”, “This Is What You Are”, “Love is a Temple”, “Open Up Your Eyes” e non rimanere estasiato, dalla sua infinità naturalezza e spontaneità.
Il soul, la musica dell’anima, è proprio questo. E’ il sentimento che si esprime attraverso la musica. E’ l’evasione di ciò che non riesci ad esprimere con le sole parole. E’ ciò che ti rende diverso, agli occhi di chi ascolta la solita musica.
E, forse, è proprio quello che ti aspetti da uno come Mario Biondi!
(Giuseppe Della Mura)