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Lettera aperta ad Andrea Rosi, Sony Music Italia

Sig. Andrea Rosi,

Le scrivo questa lettera aperta perché, diversamente, sono certo che non l’avrebbe neppure presa in considerazione. Non è detto che in questo caso lo faccia, ma mi affido alla rete e alla sua incredibile divulgazione.

Lei non mi conosce, quindi mi tratti come una persona qualunque che da qualche anno, sia per motivi lavorativi che per motivi di semplice passione, un’idea su quali sono le regole del gioco se l’è fatta.

Lei è il Presidente della Sony, la più grande ed importante casa discografica italiana e converrà se Le dico che più della metà della musica italiana attualmente in circolazione, passa anche per la sua approvazione. Questo perché Lei, come già detto, è a capo di una grande società e tecnicamente il fatto che venda musica invece che patate, è un mero dettaglio alle voci di bilancio. Le dico questo perché la Sua indubbia esperienza nel settore musicale pare essere diventata solo una cornice da appendere al muro. E Le confesso che, se non fosse stato per il caso Jarvis/XFactor, probabilmente non sarei qui a scriverLe.

Non conosco la band e non considero XFactor, come qualsiasi programma televisivo che si definisca “talent show”, una sede all’altezza per scovare nuovi talenti. Il perché sta nel fatto che tutto ciò che passa in televisione è studiato per alimentare la sola macchina televisiva. Lo sapevano gli autori, lo sapevano i loro editori, lo sapevano i conduttori. E inizialmente, lo sapevano anche i Presidenti delle case discografiche. Poi improvvisamente qualcosa è cambiato. La televisione ha sbranato la professionalità e l’esperienza di chi lavora nella musica e la discografia si è piegata alle logiche televisive, firmando contratti discografici a chiunque avesse avuto un minimo di appeal sul pubblico.

Lei ha detto che la polemica sollevata da quella band è paradossale. Che è un fatto normale far firmare un contratto a tutti coloro che approdano ai live perché sono le regole del programma. In pratica, come succede in Italia succede anche in America. E fin qui, nulla da dire!

Ma non trova invece che paradossale sia il fatto che 12 emeriti sconosciuti, che fino a ieri probabilmente non avrebbe nemmeno preso in considerazione se avessero provato a bussare alla sua porta, diventino invece degni di una firma con Sony, semplicemente perché sono arrivati lì? Resta il fatto che Lei è libero di decidere – il suo ruolo glielo consente – e, se c’è un regolamento ed un accordo con la produzione del programma che prevede la firma di un contratto, va rispettato. Il problema infatti non sta nel contratto, ma si suppone in quello che c’era scritto in quel contratto perché, fatto salvo eventuali occasioni di popolarità mediatica di cui la band in questione avrà voluto servirsi (è lecito pensarlo), oggi per un giovane artista o band che sia, dopo anni di sacrifici, rinunciare ad un contratto discografico con una major sarebbe come buttarsi giù da un grattacielo dopo essersi fatto cento piani a piedi.

Sig. Rosi, la sua professionalità e la sua competenza in questo settore sono fuori discussione. Lei ha tutte le ragioni del mondo e la persona comune, come il sottoscritto, non può entrare nel merito di determinate decisioni sia perché non gli competono, sia perché non conosce nel dettaglio i meccanismi. Mi piacerebbe però che questo mondo, diventato cattivo ed egoista, torni ad essere coraggioso e che si investa sulle nuove voci, come le chiamo io, semplicemente perché ne vale la pena e non solo perché si è passati per un programma televisivo.

Pensi un attimo a Lucio Battisti. Che fine avrebbe fatto? Lo stesso Mogol disse che probabilmente oggi Battisti non sarebbe diventato Battisti, e parliamo di un pezzo importante della storia musicale di questo Paese. Basterebbe un po’ di coraggio in più ed una vera ricerca del talento come facevano una volta i talent scout, che di artisti veri ne hanno trovati. Ma non in televisione bensì tra la gente comune, dove la musica esiste e nonostante tutto, continuerà ad esistere. Ci pensi.

(Giuseppe Della Mura)

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