Arriva ogni anno puntuale, dopo il virus influenzale e con esso il carrozzone delle critiche, gli inutili tentativi di boicottaggio, le polemiche sui compensi e le canzoni che prima ancora di sentirle fanno schifo. Tutti elementi che contribuiranno, ancora una volta, a catalizzare l’attenzione di un’intera nazione sullo spettacolo musicale più longevo e criticato di sempre.
A scanso di equivoci, mi spoglio subito dei panni dell’intenditore di musica snob che tanto fa fighi e premetto che io il Festival di Sanremo lo guardo, lo studio, cerco di capirne le dinamiche, ascolto le canzoni e ci sono anche stato due anni fa come inviato ed è stata una delle esperienza lavorativa più belle che abbia mai fatto. Snob è chi dice che non guarderà Sanremo per qualche motivo ancora non ben identificato, fatta eccezione per le solite frasi retoriche, di circostanza, al pari delle “condoglianze “ ad un funerale.
Perché sì, il nostro Paese è fatto così: Sanremo non lo guarda mai nessuno e poi sfiora il 50% di share. D’altronde funziona, anzi funzionava così anche con il Grande Fratello – pace all’anima sua! – e con i vari governi Berlusconi che, se chiedevi in giro, tutti dicevano: “Io non l’ho votato!“
Guardo il Festival perché, per quelli come me che “tirano a campare “ nella musica (…non può essere un mestiere, finché ti diverti…), Sanremo è il più grande indotto della musica italiana. A conti fatti, se non ci fosse Sanremo probabilmente in Italia non si produrrebbe più musica ed a quanti contrariamente pensano che, nonostante Sanremo, in Italia si producono sempre gli stessi o “quelli dei talent “ rispondo che è vero, ma che le colpe non possono essere date ad uno spettacolo televisivo.
Sanremo è da sempre il giocattolino delle case discografiche, l’ancora di salvezza di produttori, artisti e pseudo tali che, una volta all’anno, si giocano la carta Festival quando sono alla canna del gas. Lo dimostra il fatto che chi vende, lavora e fa il sold out a Sanremo ci va come ospite, dietro lauto compenso. In pratica a Sanremo si fa lo “straordinario “, il turno di notte, quello che tutti i lavoratori fanno per racimolare qualcosa in più alla fine del mese e riuscire a pagare il mutuo. Per i “giovani” invece, un ufficio di collocamento.
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C’è chi ci arriva per meriti, chi mettendo mano al portafogli e chi invece sceglie di immolarsi fisicamente. Tutto per quei 3 minuti di popolarità, nella speranza di arrivare ai famosi 15 predetti da Wahrol. Ma è sui vecchi, meglio noti come “big” che si gioca la vera partita. C’è chi ha già bloccato qualche palazzetto senza vendere nessun biglietto e le date non si possono annullare perché altrimenti c’è una penale da pagare, c’è chi ha chiuso il nuovo album ed è alla ricerca di qualcuno che, in cambio di po’ di promozione, glielo pubblichi e c’è chi ha una carriera da difendere. Parte quindi la ricerca disperata di una casa discografica disposta a diventare la tua compagna di merenda e, se il progetto fa schifo, poco importa; dopo Sanremo tutti parleranno di te, sempre e comunque e, se sei bravo, riesci a vendere una pasta e fagioli meglio del menù di Capodanno ideato da Cracco. Perché alla gente, in fondo, piace molto di più una pasta e fagioli che un toumendò di manzo irlandese scottato al Porto con pancetta steccata al rosmarino. La pasta e fagioli è una garanzia!
Ma non è solo una questione economica. E’ anche un discorso di (esagero!) mafia musicale che, da sempre, muove le pedine e detta le regole del gioco. Ora il perché la Caselli abbia quasi ogni anno in gara uno dei suoi, non è argomento da trattare in Tribunale, così come non lo è il ritorno di Albano, non lo è il fatto che qualcuno abbia scambiato Gabbani (quello di “Amen”) per Giorgio Gaber, non lo è che Bianca Atzei è nell’alto dei cieli da anni senza aver alcun merito oggettivo, così come non lo è che ci saranno gli ex dei talent o la Comello che passa dal gioco del cantare in una macchina all’Ariston (guarda caso!). Tutto questo non sarà mai motivo di scandalo perché, fatta eccezione per gli artisti di strada e per chi suona nelle metropolitane, la gran parte dei giovani cantanti, musicisti e beat maker che criticano, a volte anche duramente, il Festival di Sanremo probabilmente accetterebbero quei 3 minuti di popolarità. Con mezza Italia che ti guarda, senza considerare l’opzione mondo visione, solo un folle rinuncerebbe ad una simile occasione.
Morale della favola? Sanremo è solo business! Facciamocene una ragione. E’ una macchina per soldi. Accettatelo per quello che è. Quando sarà finito, non ricorderete nemmeno più chi ha vinto l’anno scorso e vi renderete conto di aver solo fatto dell’inutile polemica.
Chi ha vinto l’anno scorso? Io non lo ricordo.
(Giuseppe Della Mura)