Approfondimento Provincia di Caserta

Che fine fanno le aziende confiscate alla camorra? Intervista a Gianluca Casillo

Un argomento, spesso sottociuto, che crea vuoti di potere e disoccupazione è quello che riguarda la confisca dei beni alla camorra. In Campania, attualmente il numero degli immobili sottratti alla criminalità organizzata è di 1456 plessi, di cui 1105 in gestione giudiziaria, mentre solo 21 sono usciti dalla gestione.

Più grave il problema delle aziende. Solo il 2 percento delle aziende confiscate in via definitiva sopravvive al mercato. Dove le mafie “garantivano” lavoro, lo Stato rischia così di rappresentare il fallimento.

Abbiamo provato a capire il perché attraverso le storie di due imprese che, tra mille difficoltà, provano a resistere (sono 137 le aziende confiscate di cui ben 298 in gestione giudiziaria e soltanto 197 quelle uscite dal sistema). Ne abbiamo parlato con il Dr. Gianluca Casillo, custode giudiziario e consulente della Direzione distrettuale Antimafia.

“Le banche,  sempre disponibili nei confronti della vecchia proprietà, con noi – ha esordito il consulente – stringono i cordoni del credito”. La Beton Me Ca di Vitulazio è un’impresa di calcestruzzo che impiega 30 dipendenti. Dal 2011 è stata posta sotto sequestro dalla Direzione distrettuale antimafia nell’ambito dell’operazione “Il principe e la scheda ballerina” sull’oligopolio imposto dal clan camorristico dei casalesi alla filiera del cemento.

“Si produce il miglior calcestruzzo della zona, questa è un’azienda con grandi potenziali” – spiega il Dr. Casillo –  “eppure, un volume di affari di 4 milioni di euro all’anno con circa un milione e mezzo di commesse già aggiudicate per il 2016/2017, non rassicurano sul futuro. Negli anni passati la Beton Me Ca ha potuto contare su grandi iniezioni di denaro, oggi invece siamo in costante sofferenza di liquidità. Stiamo provando a rendere più efficiente il sistema produttivo per ridurre i costi e forse riusciremo a chiudere il bilancio in attivo. Ma potrebbe non bastare”.

Fornitori e clienti non si sono dati alla fuga dopo l’intervento della magistratura, anzi continuano a garantire lavoro come in passato. Lo testimonia la frenetica attività nel cantiere. I problemi vengono dalle banche.

“In particolare – dice Casillo – con un istituto di credito c’è un prestito che di soli interessi passivi ci costa 120 mila euro all’anno. Il sottoscritto ha avanzato una proposta di abbattimento dell’esposizione debitoria utilizzando risorse liquide e disponibili offerte in garanzia, ma paradosso del paradosso, l’Istituto bancario temporeggia per oltre un anno e mezzo, maturano altri interessi passivi che ci portano a sconfinamenti delle linee di credito; l’Istituto di bancario, poi, ci blocca l’operatività sul Conto corrente aziendale”.

Si è appreso anche che, in modo totalmente arbitrario, un altro intermediario finanziario ha segnalato alla Centrale Rischi della Banca d’Italia una sofferenza per mancato pagamento di rate di leasing non riscontrando le decine di raccomandate inviate dall’amministrazione giudiziaria per concordare soluzioni bonarie dell’esposizione debitoria allertando tutto il sistema bancario che ha sospeso l’operatività sui conti correnti contravvenendo tra l’altro all’art.4 comma 7 del Codice di deontologia e di buona condotta per i sistemi informativi gestiti da soggetti privati in tema di crediti al consumo approvato dal Garante per la privacy nel 2004 che obbliga l’intermediario ad avvertire l’interessato sull’imminente registrazione della sofferenza in sistema.

“Per pagare le rate – ha aggiunto il Dr. Casillo –  siamo così sempre in sofferenza e, se ritardiamo un pagamento, il nostro rating bancario ne risulta compromesso con l’effetto che anche altre banche non ci consentono l’accesso al credito. Una corsa ad handicap, impossibile così resistere a lungo sul mercato”.

E’ necessario, soprattutto in questo periodo di crisi, una maggiore assunzione di responsabilità del sistema bancario.Se poi consideriamo che in Provincia di Caserta quasi il 40% del mercato del Calcestruzzo è controllato dalla Magistratura per mezzo degli amministratori giudiziari ci rendiamo conto che sono problematiche che se non risolte tempestivamente possono creare non poche problematiche di carattere sociale sul territorio con la perdita di numerosi posti di lavoro.

Di traverso accade che si mettano anche le Istituzioni. E’ il caso della Green Line di Castel Volturno, azienda specializzata nello smaltimento rifiuti speciali. Solo sulla carta, però. All’indomani del sequestro, avvenuto sei anni fa nell’ambito dell’operazione “Normandia”, l’inchiesta della DdA che ha portato alla sbarra politici e “colletti bianchi” al servizio dei clan, l’Albo nazionale gestori ambientali del Ministero dell’Ambiente ha decretato l’esclusione della ditta.

“Paradossale – ha chiarito Casillo – che la decisione arrivi con la gestione giudiziaria e la trasparenza che questa impone. Nella storia recente dell’azienda l’esclusione dall’Albo non è stato il solo ostacolo imprevisto. Dopo l’aggiudicazione di un appalto pubblico, all’amministratore giudiziario giunge dalla Prefettura competente la comunicazione di un’interdittiva antimafia. Non riuscivo a credere ai miei occhi, per fortuna è intervenuta la Dda e ha rimesso le cose a posto. Non chiediamo un occhio di riguardo particolare, ma quanto meno che non si commettano errori così marchiani”.

C’è poi la questione da affrontare e relativa alla possibilità di un riutilizzo sociale dell’impresa, questione auspicata da tutti gli addetti ai lavori ma nella pratica quasi mai attuata per l’impossibilità oggettiva di proseguire in una gestione giudiziaria decennale, o quantomeno perché a conclusione dell’iter processuale la normativa dovrebbe prevedere dei meccanismi di controllo e di direzione dell’impresa coinvolgendo semmai l’Unione Industriali o altre organizzazioni di categoria per fornire supporto ed ausilio a dipendenti che altrimenti si ritroverebbero da soli in contesto economico che li vedrebbe impegnati direttamente come imprenditori e non più come dipendenti.

Una proposta di legge per destinare il Fondo unico a garanzia di credito per le aziende confiscate è venuta dalla Cgil.

“Il problema più grande resta quello con le banche –  ha precisato Casillo – ma spesso registriamo grande diffidenza nei confronti dell’amministrazione giudiziaria, la sensazione è che diano per “cotte” le imprese sottratte ai clan e non può essere accettabile. Creare un fondo di garanzia potrebbe essere uno strumento utilissimo. Spesso passa troppo tempo tra il sequestro e la confisca definitiva. E’ quel tempo il periodo più delicato, quello in cui si crea il vuoto attorno alle aziende confiscate, con i fornitori che si fanno pressanti e i clienti che spariscono. Occorre intervenire, anche in termini legislativi, perché attorno alle aziende confiscate si crei un sistema economico etico”. 

(Ferdinando Terlizzi)

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