Continua l’ondata di sdegno nell’opinione pubblica dopo il tourbillon provocato dalla magistratura nel mondo delle “Baronie” universitarie.
Sotto accusa – lo ricordiamo – è il concorso 2015 di abilitazione all’insegnamento accademico.
E tra i sette arrestati (gli altri sono:
– Giuseppe Maria Cipolla dell’Università di Cassino;
– Valerio Ficari, ordinario a Sassari e supplente a Tor Vergata a Roma);
– Guglielmo Fransoni, tributarista dello studio Russo di Firenze e professore all’Università di Lecce;
– Alessandro Giovannini, docente all’Università di Siena ed ex direttore generale della Provincia di Livorno;
– Giuseppe Zizzo, dell’Università Carlo Cattaneo di Castellanza (Varese))
vi sono anche i professori Fabrizio Amatucci, napoletano, docente alla Federico II ed alla Luigi Vanvitelli di Caserta, e Adriano Di Pietro, docente all’Università di Bologna, che è stato titolare di un master dal 2007 al 2010 al Suor Orsola Benincasa di Napoli .
(Fabrizio Amatucci)
In totale sono 59 le persone indagate su tutto il territorio nazionale e, tra queste, altri 22 “baroni universitari” – oltre ai sette arrestati – sono stati colpiti dalla misura dell’interdizione dalle funzioni di professore universitario e da quelle connesse ad ogni altro incarico accademico per la durata di 12 mesi.
Quale è il metodo usato per abilitare i “raccomandati”? Secondo i magistrati della procura di Firenze, il classico do ut des per cui “io abilito uno dei tuoi e tu abiliti uno dei miei”. Candidati quindi utilizzati come merce di scambio con giudizi positivi redatti ad hoc dai cattedratici.
Amatucci in particolare redige le relazioni finali a Napoli e, dall’altra parte, Di Pietro a Bologna “controlla” i giudizi che vengono stilati proprio da uno dei “suoi” candidati in corsa per l’abilitazione.
(Adriano Di Pietro)
Le intercettazioni ambientali non lasciano dubbi e hanno inquadrato la gravità dei comportamenti.
La Guardia di Finanza, come spiegato in una nota, ha accertato “sistematici accordi corruttivi tra numerosi professori di diritto tributario” – alcuni dei quali pubblici ufficiali poiché componenti di diverse commissioni nazionali nominate dal Miur – finalizzati a rilasciare abilitazioni “secondo logiche di spartizione territoriale e di reciproci scambi di favori” per soddisfare “interessi personali, professionali o associativi“.
E se tra i candidati vi è qualcuno che è proprio bravo, che ha tutto, che è dotato della produzione più varia, “tutto lo scibile della speciale, alla generale, alla processuale”, che non può essere attaccato neanche sul piano della ricerca, come si fa a bocciarlo? Semplice, è propro Amatucci a spiegarlo: “Per quelli che hanno tutto, si deve scrivere che «non hanno la maturità»”. Per cui nella relazione di “bocciatura” viene scritto che: “il candidato dimostra di non avere rigore metodologico adeguato alla trattazione delle tematiche”. D’altronde – Manzoni docet! – non è così che deve comportarsi un perfetto azzeccagarbugli?
Ora, nella speranza che finalmente si sveglino in merito anche i magistrati “nostrani” dando un’occhiata particolare alle università locali ove spesso al padre succede il figlio, il nipote, talvolta persino la “commarella”, ci chiediamo nel frattempo: ma alla Facoltà di Giurisprudenza di S. Maria Capua Vetere, agli studenti desiderosi di apprendere, continueranno a essere “fortemente consigliati” i testi di Amatucci?
Poi ci si meraviglia della “fuga dei cervelli” dall’Italia e del “coma profondo” in cui giace l’Università italiota….