Approfondimento

La lotta contro il bullismo deve partire all’interno delle mura domestiche

La nostra vita è sempre più frenetica e si tende sempre a prestare meno attenzione (e cura) nei rapporti familiari, quasi dando per scontato che “le cose” vanno come dovrebbero andare, cioè bene, senza particolari problemi.

I genitori tendono pertanto ad essere spesso poco accorti all’educazione in generale e sono di conseguenza poco interessati ad alcuni “aspetti particolari” come il fenomeno del bullismo.

Bisognerebbe, pertanto, non dare informazione, ma formazione. Una formazione capillare che investe la quasi totalità dei genitori, partendo, ad esempio dai luoghi di lavoro dove ci sono lavoratori rappresentati da padri/madri. Dove il datore di lavoro, investendosi di quella responsabilità collettiva, istituisca o promuova dei corsi di formazione obbligatoria sul fenomeno bullismo e sugli aspetti che riguardano la responsabilità genitoriale.

Di questo triste fenomeno ne abbiamo parlato con la dottoressa Anna De Luca, esperta in counseling vittimologico e consulenza pedagogica nei contesti educativi di formazione permanente.

 Il bullismo è un fenomeno dei nostro giorni, triste espressione della nostra società malata?

“No. Il bullismo è sempre esistito: si chiamava in altro modo o, meglio, veniva etichettato come “sono ragazzate”, ma dalla notte dei tempi è sempre esistito. Oggi se ne parla molto, sia a livello internazionale che nazionale, e lo si riconosce pertanto come problema sociale e desta una certa preoccupazione per come si sta diffondendo, acquisendo sempre di più virulenza e aggressività. Ad essere coinvolti sono i preadolescenti ed adolescenti”.

Oggi si parla anche di baby gang.

“Purtroppo la potremmo defnire l’evoluzione criminale del bullismo organizzato ed agito da piccoli bulli capaci di compiere azioni violente non solo verso un loro coetaneo, ma anche nei confronti di un adulto”.

Il bullismo ha preferenze geografiche e di ceto?

“Assolutamente no”.

Oramai è allarme rosso sul tema ed a volte le mamme individuano in bullo anche un bimbo che spintona il compagno.

“A quell’età, nel giocare, ci potrebbe scappare una spintonata, ma non possiamo e dobbiamo parlare di bullismo. Per dire che siamo di fronte a un azione bullizzante occorrono che ci siano derteminati fattori che la caratterizzano: intenzionalità, persistenza, squilibrio di potere. Mi spiego meglio. L’intenzionalità: ci deve essere l’intenzione ad adottare un comportamento aggressivo. Persistenza: l’azione aggressiva deve essere ripetuta e costante. Asimmetria nella relazione: ossia squilibrio di potere tra chi compie l’azione e chi la subisce dovuto, per esempio, alla forza fisica, all’età, oppure alla numerosità (quando le aggressioni sono di gruppo)”.

Perchè un ragazzo si comporta in tal modo e come sceglie i soggetti da bullizzare?

“Lo scopo del bullo è quello di umiliare, denigrare, dominare o comunque esercitare una forma di potere. Il bullo mostra un’alta opinione di sé, ma spesso non si sente realmente così e usa l’aggressività per emergere nel gruppo. In genere ha una bassa tolleranza delle frustrazioni. I soggetti che poi diventano vittime del bullo sono scelti perché hanno determinate caratteristiche esteriori come il colore dei capelli, l’obesità, un certo modo di vestire oppure possono riguardare caratteristiche interne della vittima come la timidezza, la riservatezza, la difficoltà di esprimersi in gruppo. E soprattutto un atteggiamento passivo della vittima e la sua difficoltà di reagire agli attacchi che possono favorire la reazione aggressiva del bullo”.

L’azione bullizzante avviene sempre in un contesto di gruppo come la scuola. Chi sono i soggetti del gruppo e perché non reagiscono all’azione prepotente, aggressiva del loro coetaneo?

“Il bullismo può essere esplicitato nel gruppo dove maggiormente trascorrono molte ore insieme, come la scuola, ma può avvenire anche fuori dal contesto scolastico, ad esempio nelle attività sportive o altro, ma sempre in un gruppo. Il bullo nel contesto reale si alimenta e si rafforza attraverso il gruppo dove ci sono i gregari e gli spettatori. I gregari sono quelli che appoggiano il comportamento violento del bullo, magari filmando l’azione aggressiva perpetrata ai danni della vittima per poi postarla sui social con il telefono cellulare. Gli spettatori sono quelli che, pur ritenendo  che l’azione  aggressiva non sia corretta, non hanno il coraggio di difendere la vittima e di andare quindi dall’altra parte perché hanno paura delle possibili ritorsioni del bullo”.

Cosa si sta facendo per prevenire o ostacolare la crescita di questo fenomeno?

“Si stanno portando avanti nelle scuole campagne di sensibilizzazione ed informazione del fenomeno, programmi educativi che potenziano sia l’educazione ai sentimenti, ed in principale modo l’empatia, che uno stile di comunicazione assertiva in quanto ciò che manca al bullo è la capacità di uno stile comunicativo assertivo. In genere non è empatico, né sa essere assertivo. L’assertività è uno stile comunicativo in cui si rispettano le opinioni e le emozioni altrui. Al contrario, il bullo ha una modalità di relazione che prevarica l’altro in modo aggressivo, che può sfociare o in aggressione verbale o in quella fisica”.

Nonostante le scuole stiano facendo concreta prevenzione, i dati del fenomeno sono allarmanti. Secondo lei perché?

“E’ un fenomeno complesso e riguarda vari aspetti, ma quelli che più incidono sono quelli legati al contesto socioculturale. Il contesto sociale che include i modelli culturali e relazionali familiari, i modelli sociali imposti dai mass media e dalla società contemporanea”.

Anche il fenomeno del branco è riconducibile ai modelli imposti dai mass-media?

“In parte. Ecco vede, quando nella società (o nel gruppo) un comportamento è molto diffuso, anche se esso è riprovato non solo dai genitori e dagli insegnanti, ma dalla stessa opinione pubblica, finisce per diventare agli occhi del preadolescente una indicazione da seguire, indipendentemente dalla valutazione etica che ufficialmente si accompagna ad essa, ma a causa del numero più o meno grande di individui che lo segue. E’ un meccanismo molto primitivo di comportamento sociale che troviamo comune agli animali ed agli uomini. Nel preadolescente e nell’adolescente esso è molto accentuato. Spesse volte propagande educative intese ingenuamente a creare nei ragazzi una opinione negativa su certi modelli di comportamento, sortiscono l’effetto contrario di mantenere viva nella loro immagine il modello condannato e di produrre il cosiddetto contagio sociale o  fenomeno del branco”.

Quanto ne sanno i genitori del bullismo?

“Nonostante se ne stia parlando molto ed in più contesti, sia per quanto riguarda tematiche inerenti agli stili educati che relazioni affettive all’interno della famiglia, i genitori sono ancora impreparati. Eppure la prevenzione del bullismo dovrebbe partire innanzitutto dalla famiglia. Molto spesso i genitori negano l’evidenza che il loro figlio sia un bullo e giustificano i comportamenti aggressivi dicendo che “sono ragazzate”. In questo modo impediscono ai figli di assumersi delle responsabilità”.

Secondo lei il fenomeno col tempo diminuirà o sarà più virulento?

“Dipende da quello che noi oggi siamo in grado di fare, da come ci impegniamo e dal senso di responsabilità”.

Si spieghi meglio

“L’educazione in generale è un problema legato non solo all’opera dei genitori, dei maestri, degli insegnanti, ma questi possono inserirsi solo in parte in questa dinamica socio-culturale. Quel che è certo è che l’educazione, considerando questi fatti, diventa un problema di tutta la collettività sociale. Ed è anche un problema di salute in quanto l’aggressività, la violenza scaturita dal bullismo, costituiscono una minaccia o porta gravi conseguenze sia sul piano fisico che su quello psicologico. Inoltre, molti di questi bulli possono risentire a lungo termine del proprio comportamento e divenire adulti con disturbo antisociale o, a loro volta, depressi. Da adulto, il bullismo può portare ad aggressione nella coppia amorosa”.

In riferimento alla prevenzione del bullismo nelle scuole con l’attivazione di sportelli di ascolto per ragazzi e per genitori coinvolti nel fenomeno, lei cosa ne pensa?

“E’ un valido strumento di prevenzione. Ma bisognerebbe poi accertarsi quanti tra i ragazzi o genitori si rivolgono realmente allo sportello. Più delle volte mi è stato riferito da insegnanti che questi luoghi di ascolto vedono qualche ragazzo solo quando vi sono materie “noiose” o si vuole evitare interrogazioni da impreparati. Per non parlare dei genitori dove subentra un meccanismo di “vergogna” nel venire riconosciuti o additati quando il figlio/a ha dei problemi”.

Sembra che abbia una visione un po’ pessimista ….

“Assolutamente no. La mia è una riflessione critica del problema dove emerge una emergenza educativa che sta assumendo certe proporzioni e bisogna trovare pertanto possibili e ulteriori strumenti che favoriscano la sua diminuzione. I ragazzi sono il bene più prezioso che abbiamo per ora noi, qui e per il futuro”.

Dal suo punto di vista cosa si potrebbe fare allora?

“Innanzitutto creare e rafforzare sinergie e collaborazioni tra i diversi attori: le istituzioni, la società civile, gli adulti e gli stessi minori. Ad esempio, la famiglia che è la prima agenzia educativa per eccellenza dove  i genitori hanno una responsabilità  genitoriale che consiste, in sintesi, nell’obbligo di  entrambi i genitori di svolgere adeguata attività formativa impartendo ai figli l’educazione al rispetto delle regole della civile coesistenza nei rapporti con il prossimo e/o nello svolgimento delle attività extrafamiliari. In altre parole, la mancanza di trasmissione di valori attraverso una completa e corretta educazione conduce il minore a porre in essere atti violenti, lesivi di diritti altrui. Pertanto, in virtù di questa responsabilità genitoriale, bisognerebbe coinvolgere i genitori”.

In che modo?

“Abbiamo detto che i genitori sono assenti o poco interessati al fenomeno del bullismo come alla educazione in generale. Bisognerebbe pertanto non dare informazione, ma formazione. Una formazione capillare che investe la quasi totalità dei genitori, partendo ad esempio dai luoghi di lavoro dove ci sono lavoratori rappresentati da padri/madri. Dove il datore di lavoro investendosi, appunto, di quella responsabilità collettiva di cui ho parlato prima, istituisca o promuova dei corsi di formazione obbligatoria sul fenomeno bullismo e sugli aspetti che riguardano la responsabilità genitoriale. Solo attraverso – e ribadisco! – una presa di coscienza, responsabilità, attenzione e volontà da parte di tutta la collettività sociale, si potrebbe ridurre il fenomeno e tutti  quegli aspetti insiti che oggi noi definiamo emergenza educativa”. 

( Antonio Luisè )

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