Abbiamo assistito all’intera vicenda in “religioso silenzio” sperando che, all’ultimo momento, potesse accadere ciò che poi in realtà non è accaduto e cioè un salvataggio in extremis motivato da un impeto improvviso di senso di appartenenza.
Invece no!
I locali del Circolo Nazionale in piazza Dante (o piazza Margherita) a Caserta sono stati venduti a privati.
La storica sede del circolo casertano è stata posta in vendita, con base d’asta di poco più di un milione di euro, dall’Agenzia del Demanio e fa parte di una serie di immobili siti nel pieno centro città che sono tutti, per il Ministero per i Beni Culturali, di interesse storico-artistico.
E così in quella che fu la piazza principale del capoluogo, dopo il Circolo Sociale e l’edicola del compianto Ciccio Croce, è scomparsa dopo 161 anni un’altra istituzione storica, un altro pezzo importante della vita sociale e degli usi e costumi di generazioni di casertani.
Tardivi e praticamente inutili i tentativi fatti oltre ogni tempo utile da un’amministrazione comunale distratta, menefreghista ed impotente, sepolta sotto le “conseguenze” di un doppio dissesto economico-finanziario che non le permette di andare oltre le chiacchiere.
Francamente ora è poco importante chiedersi cosa sorgerà in quei locali: probabilmente il solito negozio sfarzosamente anonimo che nulla avrà da dire e dare di particolare alla collettività.
Caserta così muore di un lento, ma inesorabile stillicidio: si sta perdendo l’identità e, con essa, il senso dell’essere una collettività legata a questo territorio.
Oramai il centro della città – e non solo! – è “occupato” da operatori commerciali, provenienti per la maggior parte dalla provincia napoletana, che hanno la loro innegabile convenienza a trasferire le proprie attività a Caserta: i costi sono indubbiamente inferiori a quelli del territorio partenopeo. E ciò vale anche per le residenze. A parità di cifra, a Caserta si assicura una casa dignitosa chi, con quegli stessi soldi, una casa non può proprio acquistarla a Napoli e dintorni.
Per carità, sia ben chiaro che non vi è in questa analisi alcun accenno razzistico e/o stupidamente campanilistico: sia il benvenuto chiunque scelga di vivere e/o svolgere attività professionale a Caserta.
Ma ciò che non avviene è l’integrazione, né favorita, né promossa, soprattutto da chi di dovere.
A ciò deve aggiungersi che, di contro, i giovani casertani, di fronte ad una realtà desolante, fuggono via in cerca di un‘occupazione dignitosa e di una nuova e diversa vita mentre gli anziani, alle prese con un dissesto comunale ben al di là dal cessare e che li priva di ogni servizio socio-assistenziale utile e necessario, cercano rifugio, se possono, nei territori comunali limitrofi al capoluogo in realtà abitative più piccole, ma forse più “a dimensione umana”.
Il risultato è che Caserta sta progressivamente trasformandosi in una città “amorfa”, incolore ed insapore, priva di una storia comune, di un senso unificante della collettività.
Che senso può avere il raccontare, ad esempio, che nei locali del Circolo Nazionale si accolsero come soci onorari, nell’imminenza della vittoria nella grande guerra, il Capo di Stato Maggiore del Regio Esercito Armando Diaz oppure Ciro De Angelis, il comandante della 31.a Divisione di Fanteria dove erano inquadrate le Brigate Caserta e Volturno vittoriose sul Piave?
A chi può interessare il ricordo di tutte le personalità che hanno solcato quei pavimenti e di tutte le manifestazioni, gli eventi, le feste di fine anno che si sono lì tenute e che hanno interessato svariate generazioni di casertani e casertane, con tutte le loro avventure d’amore?
Ed i tornei di biliardo? E gli incontri ai tavolini del circolo da cui poi sono nate le storie di quasi tutti i sodalizi sportivi della città oppure delle principali aziende del capoluogo?
Davvero, se quelle mura potessero parlare, ne avrebbero di storia cittadina da raccontare…
Sì, ma a chi? Chi ha le giuste motivazioni per stare ad ascoltare, per apprendere, per tramandare?
In questo modo la blaterata vocazione storico-turistica della città appare sempre più una beffa che può continuare ad incantare solo gli ingenui.
Rimane a chi scrive la tristezza nel cuore che può avere un’articolista il cui papà – buon’anima! – è stato uno dei tanti Presidenti del Circolo Nazionale che si sono succeduti nel tempo: lo stato d’animo infelice di un casertano d.o.c. che assiste sconsolato alla scomparsa progressiva di ogni singolo pezzo di storia della sua città, costretto persino a sorridere amaramente quando sente parlare o scrivere, specialmente sui social, di Caserta e casertanità…
Nel frattempo mi anticipo a buttare giù il “pezzo” che pubblicheremo quando prossimamente sarà venduto il “Palazzo Vecchio”, l’antica sede dei conti e dei signori di Caserta la cui torre venne fatta costruire da Pandolfo di Capua nell’862 d.C., a fronte della piazza della Baronia; il Palazzo che divenne poi proprietà dei Principi Acquaviva d’Aragona fino ad essere acquistato nel 1750 da Carlo III di Borbone per farne la sede provvisoria della famiglia reale in attesa del compimento della Reggia vanvitelliana; il Palazzo che nei secoli ha ospitato cardinali, viceré di Napoli, artisti, scultori, poeti e letterati come Jakob Philipp Hackert e Johann Wolfgang von Goethe…
Di cosa cavolo sto parlando? Del Palazzo sito di fronte all’attuale piazza Vanvitelli, ove ora sono allocate – ma ancora per poco… – la Prefettura e la Questura di Caserta.