Cronaca

Sgominata la diramazione in Veneto del clan camorristico dei Casalesi: 50 arresti

La Guardia di Finanza e la Polizia, coordinate dalla Dda di Venezia, hanno eseguito 50 misure cautelari (47 in carcere e 3 agli arresti domiciliari) e 11 provvedimenti di obbligo di dimora e di altro tipo. Sequestrati anche beni per un valore complessivo di oltre 10 milioni di euro.

Gli arresti sono scattati principalmente a Venezia ed a Casal di Principe, oltre che in altre località. I destinatari del provvedimento sono accusati, a vario titolo, di associazione a delinquere di stampo mafioso ed altri gravi reati.

Impiegati, per eseguire le misure cautelari, oltre 300 uomini dello Scico della Gdf, dello Sco della Polizia e del nucleo di polizia economico-finanziaria di Venezia. I 50 arrestati sono stati trasferiti in penitenziari di tutta Italia, in particolare nell’Italia centrale.

L’indagine è stata condotta dal Gico del nucleo di polizia economico finanziaria della Guardia di Finanza di Trieste e dalla squadra mobile di Venezia. A coordinare l’inchiesta è il sostituto procuratore veneziano Roberto Terzo, mentre l’ordinanza con i provvedimenti restrittivi – oltre 1.100 pagine – è stata emessa dal gip Marta Paccagnella.

I dati salienti dell’intervento sono stati comunicati dal Procuratore Nazionale Antimafia Federico Cafiero de Raho e dal Procuratore Distrettuale di Venezia Bruno Cherchi in un incontro con la stampa nei locali del tribunale di Venezia.

Tra i filoni d’indagine anche l’ipotesi di rapporti con la politica e il voto di scambio, in particolare in rapporto con il clan camorristico dei Casalesi, ma tutto in primis ruoterebbe attorno al mondo dell’edilizia legato alle costruzioni lungo la costa adriatica veneziana, da San Donà di Piave a Bibione, Caorle e oltre.

Le indagini hanno consentito di evidenziare come l’organizzazione risultasse costituita, assieme ad un nucleo di persone originarie di Casal di Principe e di altri centri dell’agro aversano (Antonio Basile, Nunzio Confuorto, Antonio Pacifico, Antonio Puoti, Giuseppe Puoti), già alla fine degli anni ’90 da Antonio Buonanno (nato a San Cipriano D’Aversa il 15.11.1962,  residente a Casal di Principe) e dai suoi capi indiscussi Luciano Donadio (nato a Giugliano in Campania il 15.04.1966, residente ad Eraclea) e Raffaele Buonanno (nato a San Cipriano D’Aversa il 23.11.1959, domiciliato ad Eraclea e a Casal di Principe), quest’ultimo imparentato tramite la moglie con esponenti di vertice dei clan Bianco e Bidognetti Francesco, detto “Cicciotto ‘e mezzanotte”.

Il gruppo camorristico, dopo la sua costituzione, si è insediato nel Veneto orientale rilevando il controllo del territorio dagli ultimi epigoni locali della “mafia del Brenta” con i quali sono stati comprovati i contatti. Le multiformi strategie criminali erano finalizzate, tra l’altro, ad acquisire, se necessario con minacce e violenza, la gestione o il controllo di attività economiche, soprattutto nell’edilizia e della ristorazione, ma anche ad imporre un aggio ai sodalizi criminali limitrofi dediti al narcotraffico o allo sfruttamento della prostituzione.

Una quota dei profitti dell’attività criminale era poi destinata a sostenere finanziariamente e sostenere i carcerati di alcune delle storiche famiglie mafiose di Casal di Principe appartenenti al clan dei Casalesi cui l’organizzazione mafiosa di Eraclea era genericamente collegata e della quale costituiva il gruppo criminale referente per il Veneto orientale e, come tale, interlocutore obbligato di tutte le organizzazione territoriali che vi si trovavano ad operare.

Figura tra gli arrestati anche il sindaco di Eraclea (località balneare in provincia di Venezia), l’avv. Mirco Mestre, eletto primo cittadino nel maggio 2016 con una lista civica di centrodestra.

Il Procuratore capo di Venezia, Bruno Cherchi, ha spiegato che l’arresto di Mestre rappresenta il primo caso in Veneto di voto di scambio«Abbiamo accertato che vi è stato nelle elezioni del 2016 uno scambio elettorale con la criminalità organizzata, non per tantissimi voti, ma sufficienti, in cambio di coperture e ‘strade’ più rapide per la gestione delle loro attività. Il primo caso in Veneto». Non solo. Cherchi ha anche specificato che «il coinvolgimento di un sindaco per mafia è il primo caso in assoluto per il Veneto». Di fatto, Mirco Mestre avrebbe ricevuto «quei pochi voti necessari» per essere eletto in «cambio di favori al clan dei CasalesiQuesta operazione per la prima volta ha accertato la presenza della criminalità organizzata strutturata nel territorio veneto, profondamente penetrata nel settore economico e bancari. Questi sono aspetti – ha aggiunto – che devono far riflettere tutti noi, ma anche la comunità veneta e del Nordest, sui pericoli che a questo punto sono fatti accertati, per evitare che anche queste regioni diventino sede stabile della criminalità organizzata».

Il procuratore capo ha anche spiegato che per la prima volta in Veneto è stata registrata «la presenza da anni di una cosca che facendo riferimento al clan dei casalesi si era organizzata autonomamente. A mia memoria – ha detto – è l’operazione più importante nei confronti della Camorra nel Nordest, nata da dichiarazioni di alcuni pentiti e gestita con capacità di Gdf e Polizia, che sono riuscite con molta pazienza a ricostruire movimenti bancari, accertamenti e intercettazioni telefoniche; un’attività coordinata con disponibilità al confronto e stimolo reciproco che ha dato risultati di rilievo. Con questa indagine abbiamo individuato gravi indizi di un inserimento non casuale o marginale, ma stabile in attività produttive e anche nel controllo del territorio, secondo caratteristiche tipiche della criminalità organizzata. Si è trasferito in questa zona del Veneto un controllo del territorio che di norma non era stato ancora accertato in questi termini. Anche molti locali ed esercenti pubblici garantivano la presenza della criminalità organizzata, che dava garanzie di stabilità. L’attività del sodalizio criminale si declinava nella commissione di svariati delitti, dal riciclaggio all’usura, alle rapine, e soprattutto – ha puntualizzato il procuratore – un’attività estorsiva che passava attraverso l’organizzazione di strutture societarie che venivano create con l’obiettivo di farle fallire, lasciando i soggetti entrati in contatto nelle condizioni di creditori insolventi. Questa attività non era disgiunta dalle più classiche attività dello spaccio di sostanze stupefacenti, della gestione della prostituzione, dell’introduzione di lavoratori in maniera illegale nelle imprese. Soggetti locali non solo conoscevano questa situazione, ma vi hanno partecipato. Da un momento iniziale nel quale erano vittime dell’inserimento dei soggetti in attività di usura, successivamente – ha concluso – vi era un accordo che ha reso più facile l’inserimento dell’attività criminale camorristica».

L’attività investigativa anticamorra che ha portato agli arresti «è enorme, parte addirittura dal 1996, in essa sono stati riversati elementi che compaiono da oltre 20 anni, personaggi – ha spiegato il Procuratore nazionale antimafia, Federico Cafiero de Raho –  che hanno sviluppato un ruolo camorristico di rilievo da tantissimo. Nel Veneto orientale la Camorra non si comporta diversamente che in Campania o altre regioni. Quel che è avvenuto altrove è stato replicato. In questo territorio di volta in volta venivano svolti gli elementi sintomatici, le estorsioni, e su queste si interveniva con arresti, e già da anni emergeva una modalità mafiosa di agire sul territorio».

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