Sport

Pillole di Amarcord #1: La prima Legadue e McIntyre in bianconero

In un periodo di isolamento ed emergenza, le pagine di un libro possono darci conforto. Ancora di più se raccontano la nostra storia cestistica e ci permettono di rievocare, insieme a loro, i momenti salienti della storia recente della JuveCaserta. Lo facciamo con alcuni estratti di ‘A 40 minuti dal paradiso’, il libro scritto nel 2010 da Sante Roperto e Camillo Anzoini.

Non ricordo un atterraggio peggiore, pur avendo volato spesso. Ma quella volta l’aereo parve rimbalzare, prima di atterrare e completare il rullaggio sulla pista di Capodichino. Tanto che prima di scendere dalle scalette dell’aereo Peppe Capuano, la nostra giovane ala-pivot, non mancò di dire al pilota, con la tipica schiettezza campana, che la prossima volta avrebbe guidato direttamente lui. Scoppiarono tutti a ridere. In realtà quel viaggio di ritorno da Malpensa ci riportava a casa in un’atmosfera mesta, perché il giorno prima a Novara era arrivata la quinta sconfitta consecutiva. Cinque stop su cinque, e il campionato era appena iniziato. Sul pullman che riportava la squadra a Caserta, in quell’assolato primo novembre del 2004, il volto rabbuiato dell’amministratore delegato Andrea Giannini era di quelli che non prometteva nulla di buono. Stava pensando, come il resto della proprietà bianconera, in che modo invertire la rotta di una stagione iniziata malissimo. […]

Era il primo campionato tra i professionisti che tornava a disputarsi all’ombra della Reggia dopo un decennio. La Juvecaserta era tornata in Legadue grazie al titolo di Castelletto Ticino, nel pieno di una torrida estate dei canestri successiva a un torneo di B1 iniziato con gli squilli di tromba e invece mestamente terminato molto prima della fine dei play off. Di quella squadra, che aveva nomi del calibro di Gentile, Rusconi, Shorter, era rimasto solo Faggiano, subito nominato capitano. A guidarla in panchina invece Franco Marcelletti, l’uomo giusto per riallacciare il filo con quel passato che la città aveva ancora negli occhi e che la nuova proprietà bianconera voleva ricalcare. Parlare con lui, fuori dal campo, era come se fossi perennemente in un time-out, come se stesse parlando sempre a uno dei suoi giocatori: tono incalzante, voce ansiogena, ma indiscussa memoria storica di un’epoca cestistica di cui fu protagonista […]. Parlare con lui era come aprire una finestra su un’infinita sequela di aneddoti e sui più disparati retroscena di risultati, partite e protagonisti vari.

terrell-mcintyre.jpg - ABC Columbia

Marcelletti aveva plasmato in tempi piuttosto rapidi il roster, lavorando in simbiosi con Gino Guastaferro, il general manager bianconero, col quale trascorreva le giornate negli uffici di un PalaMaggiò che in estate raggiungeva temperature tropicali. Senza condizionatori in pieno luglio, rimanere nelle stanze della piccola palestra vicina agli spogliatoi significava sottoporsi a una sauna finlandese, tanto che nel tentativo di trovare refrigerio potevi uscire fuori e, nella desolata campagna di Pezza delle Noci, rischiavi di sembrare un avventuriero persosi nel deserto del Sahara. In pochi sapranno che in quella estate, la Pepsi era arrivata a un passo da Terrell McIntyre. L’offerta del club bianconero per il giocatore della Carife Ferrara, che con Siena sarebbe diventato uno dei migliori playmaker d’Europa, arrivò appena due ore dopo quella dell’Upea Capo d’Orlando (dove finì, contribuendo alla promozione dei siciliani con 18,7 punti e 4,7 assist di media). Due ore prima e l’offerta di 135.000 dollari della Juvecaserta sarebbe bastata a portare all’ombra della Reggia il funambolico ‘T-Mac’.

 

Condividi!