In un periodo di isolamento ed emergenza, le pagine di un libro possono darci conforto. Ancora di più se raccontano la nostra storia cestistica e ci permettono di rievocare, insieme a loro, i momenti salienti della storia recente della JuveCaserta. Lo facciamo con alcuni estratti di ‘A 40 minuti dal paradiso’, il libro scritto nel 2010 da Sante Roperto e Camillo Anzoini.
Nella primavera del 2006 intanto scoppiava la grana PalaMaggiò. La proprietà bianconera iniziava ad avere problemi con l’obsoleta struttura di Pezza delle Noci, soprattutto nella gestione della manutenzione ordinaria. Non era infrequente che piovesse sul parquet o sui sediolini delle tribune. […] Emergenza che aveva subito stimolato i tifosi e alcuni enti, tra i quali la Provincia di Caserta che si attivò. Si pensò alla creazione di un consorzio misto pubblico-privato, ma il tempo stringeva e il presidente Caputo era stato chiaro: “Senza il PalaMaggiò, il progetto Juve finisce qui”. Il problema fu in parte tamponato, o meglio, la risoluzione definitiva fu rinviata di qualche altro anno, ma oggi la storia non è cambiata più di tanto. Le aste della curatela continuano ad andare deserte e la sensazione è che fin quando rimarrà in piedi il PalaMaggiò, che dal 2006 in poi ha avuto qualche intervento di restyling, si continuerà su questa falsa riga in una perenne situazione di un limbo operativo e progettuale. […]
La regular season intanto proseguiva con un inseguimento senza sosta, ma la corazzata Scafati rimaneva incollata al primo posto. Nonostante la stanchezza di un forcing costante, nel girone di ritorno le vittorie proseguivano, talvolta anche con un pizzico di fortuna come contro Montecatini. Sei secondi al termine, rimessa dal lato successiva al time out (il punteggio era in parità grazie ai tre liberi di Boni): Colson fallisce l’ultimo tiro, ma la palla rocambola nelle mani di Bencaster che scaglia il più classico dei tiri della disperazione da almeno otto metri. La sirena suona con la palla in aria, proprio mentre sta per finire la sua corsa nella retina, per la gioia incontenibile dei 4000 del PalaMaggiò. In una delle serate più difficili per Colson e Clack, a togliere le castagne dal fuoco ci aveva pensato il playmaker ligure. Forse proprio questa caratteristica rese grande la stagione della Pepsi: quando serviva, riusciva a trovare valide alternative ai suoi uomini di spicco. Complice l’esplosione di Callori e proprio dell’ex Imola Bencaster che visse a Caserta per due anni il momento migliore della sua carriera. Come spalla di Colson, si consacrò come uno dei più efficaci play del torneo e mise la firma a quella come ad altre vittorie. Aveva la stessa garbata riservatezza che scoprimmo, fin dalle prime settimane della stagione 2005-06, anche in Antii Nikkila. Non era facile sostituire Josh Powell. Nikkila era il suo esatto opposto: algido nordico meno atletico, più centro di ruolo e soprattutto meno spettacolare ed esplosivo. Ma con Colson costituì un asse play-pivot tra i più solidi mai visti: disputò un campionato in crescendo (chiuse con 11 punti e 8,5 rimbalzi di media). Memorabile la sua doppia doppia (34 punti, 14/16 al tiro e 11 rimbalzi) con cui affossò la Fileni Jesi a febbraio. Finì 109-95, con la JuveCaserta che all’intervallo aveva già segnato 68 punti, mentre il radiocronista giunto dalle Marche inveiva contro il telefono e il tavolo della sala stampa, non credendo a quello che stava accadendo. […]
L’ultima giornata intanto metteva di fronte nuovamente, come l’anno prima, Caserta e Fabriano. Vincemmo 92-89 con 35 punti del solito Colson e le triple di Migliori, completando un rush finale da quattro successi nelle ultime cinque gare (ko solo a Rieti). Un’eccezionale volata che non consentì però di raggiungere il primo posto, appannaggio a quota 42 di Scafati. […] Dopo il 3-1 al primo turno contro la non irresistibile Montecatini dei fratelli Niccolai, si attendeva la semifinale con Montegranaro, ma l’occhio e le attenzioni di staff e società, come dell’intera piazza, erano sulla griglia play off e sulla finale che si preannunciava tra Caserta e Ferrara. Soprattutto perché le rispettive avversarie Montegranaro e Rieti non avevano disputato una buona stagione regolare: mai in corsa per le prime posizioni, avevano avuto molti problemi e non sembravano perciò ostacoli insormontabili. Non a caso, Rieti aveva chiuso al quinto posto e la Sutor al settimo, con un passaggio ai play off avvenuto solo grazie ai risultati dell’ultima giornata e alla classifica avulsa. […] Qualcosa però cambiò subito in gara-1, quando un’inattesa sconfitta di tre punti obbligò la Pepsi a vincere la seconda gara della serie, ancora al PalaMaggiò, e poi a dover necessariamente portare a casa una delle due trasferte. Persa gara-3 nel catino di Montegranaro, la squadra rimase nelle Marche in vista 48 ore dopo di gara-4, con le poche affievolite speranze di allungare la serie a gara-5. […] E invece Maile, Migliori e il solito Colson compirono la stratosferica impresa di vincere gara-4 e rinviare ogni decisione all’ultima sfida. La bella di una delle più avvincenti serie play off mai disputate in Legadue si sarebbe disputata in un PalaMaggiò colmo in ogni ordine di posto, in un mercoledì sera in cui la temperatura al suo interno era di quelle di un torrido agosto. Stanchezza e pressione aumentarono, ma anche la speranza di ottenere una finale per la promozione da giocare col fattore campo favorevole. Rieti infatti aveva eliminato a sorpresa Ferrara e ci avrebbe garantito un vantaggio che invece non avremmo avuto con gli estensi (secondi in regular season per una migliore differenza canestri). Un’occasione più unica che rara, di quei treni che nello sport passano poche volte, e invece la delusione alla fine sarebbe stata tanta, almeno quanta la determinazione di una Premiata capace, con 22 punti di Childress, di sovvertire ogni pronostico e compiere una nuova impresa. Finì 82-96. Non bastarono i 32 punti di Colson, che non sapeva avrebbe giocato quella sera la sua ultima gara in maglia bianconera. Sarebbe andato via, dopo che Guastaferro e Marcelletti immaginarono fosse necessaria una svolta, simile a quella che portò Oscar via da Caserta. Era indispensabile voltare pagina, per quanto i primi due anni tra i professionisti erano andati bene, ma al termine del secondo un pizzico di delusione aleggiava nello staff e nella proprietà. Non erano bastati in regular season venti successi su trenta incontri affinché quella squadra, costruita con un budget inferiore ad almeno altre quattro società, potesse coronare il ritorno nella massima serie.