Cronaca Politica

La Corte d’Appello conferma: 4 anni e 8 mesi di reclusione per l’ex vicesindaco di Caserta Pasquale Corvino e l’ex-sindaco di San Marcellino Pasquale Carbone

E’ stato confermato dalla prima sezione della Corte d’Appello il verdetto pronunciato in primo grado nei confronti per l’ex vicesindaco di Caserta (ed ex presidente della Casertana Calcio) Pasquale Corvino e per l’ex sindaco di San Marcellino Pasquale Carbone.

Entrambi accusati di corruzione elettorale nell’ambito dell’inchiesta sul racket dei manifesti elettorali nel Capoluogo in occasione delle elezioni regionali del 2015 gestito da esponenti del clan camorristico “Belforte”, sono stati condannati a quattro anni e 8 mesi di reclusione.

I due, entrambi candidati durante le elezioni regionali del 2015 con il “Nuovo Centro Destra – Campania libera”, avrebbero comprato voti in cambio di somme di denaro e di altre “utilità“.

Confermate anche le condanne per Agostino Capone (15 anni), fratello del boss Giovanni ritenuto referente dei “Belforte” a Caserta, e sua moglie Maria Grazia Semonella (6 anni).

In continuazione con altre sentenze passate in giudicato, è stata anche “ricalcolata” la pena per Antonio Zarrillo che dovrà scontare 27 anni di carcere.

A seguito di patteggiamento, sono state invece ridotte le pene a Paolo Cinotti (2 anni), Silvana D’Addio (10 mesi) e Roberto Novelli (4 anni e 5 mesi).

Secondo l’accusa, Giovanni Capone, all’epoca detenuto, utilizzando dei “pizzini” avrebbe dato precise disposizioni al fratello Agostino affinché si occupasse dell’affissione dei manifesti elettorali nella città di Caserta per le regionali del 2015.

Quest’ultimo, avvalendosi della collaborazione materiale di altri indagati, avrebbe imposto ai candidati di fare riferimento alla società di servizi “Clean Service”, intestata a sua Maria Grazia Semonella, che ha praticamente imposto un regime di assoluto monopolio sull’affissione di manifesti elettorali a Caserta, ricorrendo anche a metodi coercitivi con esplicite intimidazioni e minacce rivolte coloro che venivano sorpresi ad affiggere i manifesti a tarda notte.

La “Clean Service” ricorreva anche al metodo di coprire i manifesti affissi ai candidati che non avevano fatto ricorso ai loro “servigi” al fine di veicolare il messaggio che tale “inconveniente” non si sarebbe verificato per tutti coloro che si fossero rivolti alla loro ditta chiedendo “protezione”, da pagare ovviamente a “caro prezzo”.

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