La pervasività tecnologica è enormemente accresciuta in questi ultimi anni, modifica in modo decisivo il nostro comportamento, la nostra percezione, la nostra sensibilità, il nostro pensiero, il nostro vivere insieme. Gli strumenti tecnologici della quarta rivoluzione industriale puntano a diventare cultura. In questa fase di cambiamento epocale ci avviamo verso una nuova concezione: non più l’uomo al centro di ogni considerazione ma la tecnica. Ne abbiamo parlato con Anna De Luca, consulente pedagogista, componente dell’Osservatorio Regionale Campania per il Benessere dell’Infanzia e Adolescenza (ANPE) esperta in Counseling Vittimologico e Dipendenze patologiche.
Dottoressa, viene da chiedersi, allora se l’umano sia diventato antiquato nell’era degli algoritmi.
“E’ una domanda aperta che solo le generazioni future potrebbero darne risposta . Oggi si brancola nelle più disparate visioni pessimistiche o ottimistiche di questa nuova rivoluzione tecnologica. Credo che non sia la nuova tecnica a preoccupare ma l’uso distorto che potrebbe farne l’uomo”.
Nel corso della storia delle civiltà, però, la tecnica ha connotato lo sviluppo umano, pertanto possiamo considerarla come qualcosa che di per sé non risulta estranea e ostile alla persona?
“La tecnica rappresenta una modalità specificamente umana di abitare il mondo. Ogni nuova tecnologia, certo , suscita timore ,soprattutto quando non se ne conoscano a fondo la natura e la governabilità, soprattutto ora quando la pervasività è dettata dagli algoritmi. Oggi l’uomo sembra essere più capace di sviluppare i robot e l’IA che di comprendere in profondità cosa comporti a livello umano queste trasformazioni ibride tra umano e macchina“.
Realtà e scenari pertanto, aperti all’intelligenza artificiale costituiscono una grande sfida, specialmente nel campo della formazione umana. La domanda è: cosa e come educare? Per quale uomo è una pietra miliare di esplorazione nell’epoca attuale?
“Da una parte ci si trova ancorati sul versante epistemologico e metodo logico a pensare una pedagogia antropocentrica di portata storica, ma nello stesso tempo di teorizzare una pedagogia e una prassi educativa che tenga conto il paradigma culturale di riferimento, quello che oggi è caratterizzato dall’egemonia della degli algoritmi. Non si tratta di rinunciare all’umano nella sua irrepetibile singolarità (vissuti, emozioni, orientamenti valoriali) ma di una formazione orientata a umanizzare la vita anche nel suo rapporto sempre più stretto con le tecnologie e i sistemi intelligenti. Oggi più che mai è indispensabile un nuovo approccio umanista nella cura dell’umano nella la sua fragilità, caducità” .
A tale riguardo le cito il filosofo Christian Madsbjerg che più di tutti difende “l’indispensabilità delle discipline umanistiche nell’epoca degli algoritmi”.
“Secondo l’autore la fissazione per i dati spesso maschera incredibili carenze con i rischi per l’umanità. La devozione cieca ai numeri, in sostanza, mette in pericolo le imprese, il mondo della scuola, i governi e le vite dei singoli“.
Diviene, pertanto, reale il rischio che l’educazione venga tecnologizzata?
“Un mondo ad altezza di algoritmi, pensiero computazionale e big data non potrebbe essere che a senso unico considerato che la programmazione è routine e gli algoritmi sono soltanto macchine. Ci troviamo , allora, dinanzi ad un’epoca caratterizzata da ‘presenze’ e ‘assenze’: la presenza invasiva dei media , l’assenza di uno spazio e di un tempo per pensare, l’assenza del corpo nelle relazioni, l’assenza educativa“.
Serve, quindi, un’attenta riflessione pedagogica nel rapporto tra formazione umana e macchina prima ancora di acquisire rilevanza didattica?
“Si tratta di comprendere, allora se e in quale modo robotica e intelligenza artificiale rivestano un significato in ordine alla formazione umana della persona e elle tecnologie che designano l’ambito dello statuto relazionale dell’esistenza. La pedagogia, scienza dell’educazione e della formazione più delle altre scienze umane, opera nei diversi ambienti e lungo l’intero arco dell’esistenza umana“.
Quale Pedagogia allora, “per quale uomo“, in questa epoca di cambiamento? Una Pedagogia, forse, degli algoritmi come sostengono alcuni autori?
“Questo comporterebbe che i contesti educativi non si pongono solo il problema di come sviluppare pensiero critico nei suoi confronti, ma anche di come promuovere una cultura dell’IA e questo si potrebbe articolare in : ‘Educare con l’Intelligenza Artificiale’; ‘Educare all’Intelligenza Artificiale’; ‘Educare l’Intelligenza Artificiale’. Tutto questo per rendere i soggetti abili a conoscerne e usarne il linguaggio e le logiche nella giungla dei dati“.
Perché non una Pedagogia dell’Intelligenza Artificiale come sostiene il Professore Malavansi in “Educare Robot?”… Pensare l’essenza formativa della robotica e delle tecnologie radicali alla luce tanto della configurazione materiale quanto della dimensione spirituale, cognitiva e affettiva che sono inerenti ai rapporti instaurati dalle persone con le macchine, ai sentimenti e agli stati d’animo che su di esse vengono proiettati…
“Ciò implica una prospettiva etica attenta ai temi dell’esistenza umana, a una ‘cultura umanistica digitale’ capace di dare senso e orientare le nostre azioni per individuare cosa meriti la nostra attenzione e a stabilire cosa realmente conti in un rapporto costante di discernimento e pensiero critico tra uomo e macchina“.
Alla luce di quanto detto finora è possibile ipotizzare un uomo del futuro in una nuova dimensione antropologica?
“Certo, lo definirei ‘Homo Extensus’, ossia un uomo dell’universo della post realtà “Metaverso”, un’ambiente multiutente perpetuo e persistente che mescola realtà fisica e virtualità digitale. Mi auspico, un ‘Umanesimo Digitale e un Etica Digitale’ dove una generazione condivida valori e azioni per una responsabilità attenta alla cura dell’umano nelle sue fragilità sociali, disuguaglianze, povertà e non sottostare alle leggi spietate utilitaristiche di profitto del mercato finanziario“.