La Corte Europea dei Diritti Umani emette una sentenza storica, dando voce ai molteplici ricorsi presentati da Associazioni e residenti del territorio campano. Ben 41 i cittadini e 5 le Associazioni fra Caserta e Napoli che hanno scelto di combattere il fenomeno.
Ufficializzato il fatto che la zona fra Caserta e Napoli sia altamente inquinata a causa della decennale presenza di discariche abusive, roghi illeciti di immondizia e interramento di rifiuti tossici. La sentenza denuncia l’elevato rischio al quale vengono sottoposti gli abitanti nella “Terra dei Fuochi”, formalizzando la mancata preservazione alla salute pubblica applicata dalle Autorità italiane.
L’Italia ha due anni per risolvere la problematica, la quale ha procurato un elevato aumento di morti e vittime di patologie oncologiche gravi, il tutto ufficializzato da studi scientifici certificati. Viene riconosciuto l’altissimo rischio di decesso “sufficientemente grave, reale e accertabile“, definito quale “imminente”.
La sentenza definisce che “non ci siano prove sufficienti di una risposta sistematica, coordinata e completa da parte delle autorità nell’affrontare la situazione della Terra dei Fuochi“. Agli atti e nell’effettivo, non sono state apportate misure cautelari concrete per limitare il fenomeno dello smaltimento illegale di rifiuti. Inoltre i Giudici, basandosi sulle dichiarazioni del pentito Carmine Schiavone del 1997, puntano l’accento sul fatto che sia mancata la “comunicazione completa e accessibile, per informare il pubblico in modo proattivo sui rischi potenziali o reali per la salute e sulle azioni intraprese per gestire tali rischi. Anzi, alcune informazioni sono state coperte per lunghi periodi dal segreto di Stato“, come riportato dalla documentazione della CEDU.
All’epoca le dichiarazioni rilasciate alla Commissione Ecomafie da Schiavone, sulle quali è stato revocato il decreto di segretazione 16 anni dopo, furono chiare: “Entro vent’anni rischiano tutti di morire“.
Una sentenza storica, che pone giustizia alle troppe morti dovute alla malagestione delle emergenze territoriali legate ai rifiuti. Una vittoria per le future generazioni che potranno godere di un territorio decontaminato. Fra le prime vittime che hanno denunciato la cosa va ricordata la famiglia Cannavacciuolo. Mario e Vincenzo, due pastori di Acerra, ebbero il coraggio di contestare per primi i soprusi alle loro terre. Giorno per giorno quelle terre venivano contaminate, producendo cibi avvelenati e greggi dagli agnelli deformi. L’acqua pubblica, come riportato, all’epoca già era contaminata; la stessa acqua che nutriva le coltivazioni e gli allevamenti. La cosa permise l’inevitabile propagarsi di tumori e leucemie nella popolazione. Moltissime le vittime dell’area dell’inceneritore e della ex Montefibre nell’acerrano.
Più volte negli anni si era portata l’attenzione sul fenomeno tossico. L’Istituto Superiore della Sanità e la Procura di Napoli Nord hanno presentato nel 2021, una dettagliata documentazione inerente all’interrelazione fra i livelli d’inquinamento ambientale e le patologie oncologiche.
La Corte di Strasburgo ha determinato che, se entro due anni lo Stato italiano non risolverà la grave mancata preservazione alla salute pubblica, i danneggiati potranno pretendere un risarcimento. L’Italia dovrà obbligatoriamente ottemperare alla responsabilità di bonifica ambientale, quella meritata da un territorio che da sempre offre prodotti unici in termini internazionali. Il possibile risarcimento scaturirà dalle misure attuate dalle autorità statali.
Anche nel 2015 vennero evidenziate le concomitanze fra inquinamento acquifero alimentare e casi oncologici in termini medici dal Dott. Antonio Giordano. Nel frattempo la Polizia di Stato territoriale ha intensificato i servizi di controllo predisposti dalla Prefettura per controbattere la problematica “Terra dei Fuochi”.
Ufficializzato il fatto che l’Autorità italiana avesse scelto la strada del “Segreto di Stato” piuttosto che tutelare la salute pubblica. Il dossier del CEDU mostra come “vi erano numerosi siti di smaltimento illegale nelle province di Caserta e Napoli, in particolare nelle campagne intorno ad Aversa e lungo la costa Domizio-Flegrea. Lo smaltimento illecito dei rifiuti era controllato da gruppi criminali organizzati. Ingenti quantità di rifiuti erano state trasportate da tutta Italia. Uno dei metodi di smaltimento consisteva nel depositare e interrare i rifiuti in discariche illegali, spesso cave, corsi d’acqua o grandi fosse scavate nei terreni agricoli e poi ricoperte, con la conseguente prosecuzione dell’uso agricolo del suolo“.
Dal fascicolo i Giudici sottolineano che “quando i rifiuti non venivano sotterrati, venivano talvolta mescolati con altre sostanze per essere utilizzati, ad esempio, come materiale da costruzione o come compost, con effetti negativi sulle falde acquifere”. Riguardo allo smaltimento degli autoveicoli, inoltre, “un rapporto ha documentato a Marcianise e Castel Volturno “vere e proprie montagne di pneumatici d’auto che andavano in fumo”. Le campagne a nord di Napoli, invece, erano diventate “un ricettacolo di rifiuti di ogni tipo”.
I Giudici inoltre sottolineano che si tratta di un vero e proprio “disastro ambientale (…) La contaminazione da diossina aveva provocato l’inquinamento di un’area considerevole. In alcune zone, come nei dintorni di Villa Literno, è stata osservata una concentrazione eccezionale di metalli pesanti, con un fenomeno di ‘avvelenamento persistente’ del suolo“. In concomitanza gli studi clinici confermano “condizioni sanitarie fuori dalla norma italiana nella regione“.