Gianni Carità ha detto basta ed ha gettato la spugna.
Il presidente del consiglio di amministrazione del Tarì si è dimesso insieme a tutti consiglieri di amministrazione (compreso il generale Scoppa, che lui stesso aveva portato a Marcianise) alla vigilia di uno dei voti più delicati della storia della società consortile.
Ma dietro questo gesto c’e’ molto di più di semplici tensioni tra i soci. C’e’ infatti una situazione di grave crisi finanziaria che ormai attanaglia gli imprenditori del settore orafo che hanno deciso di investire agli inizi degli anni 2000 nella scommessa Tarì e che oggi farebbero di tutto per riuscire a “togliere il disturbo“.
Alcuni soci hanno anche intentato causa per riuscire a vendere i propri moduli e le azioni, mentre i bilanci della società continuano ad essere ‘anticipati‘ dal segno meno.
Lo si legge chiaramente nella bozza di bilancio che è stata inviata ai soci dove viene messo, nero su bianco, che per il 2014 il Tarì chiude con oltre 700mila euro di perdite e con tanti debiti da pagare.
Già perché, a differenza di quanto sostiene il consiglio di amministrazione dimissionario, la situazione finanziaria non è certo delle migliori.
Sempre dagli atti del bilancio emergono circa 12 milioni di euro di debiti verso le banche, circa un milione verso i fornitori, oltre un milione verso imprese controllate ed altri ‘spicci vari’ per un totale di 15 milioni di euro.
Si può’ dire, a difesa, che ci sono anche delle entrate che riescono a coprire in larga parte questi debiti, ma il problema resta e non può essere sottaciuto, soprattutto se si considera che da anni, ormai, il bilancio del Tarì non segna un ‘positivo‘.
(Giuseppe Perrotta)