Cronaca

Il “Mai” per un ergastolano e la costruzione della sua “Corazza”

Parla a bassa voce Annino Mele, perché “il carcere annienta, c’è una situazione di apatia e di timidezza”. E quando, come per lui, la pena finisce nel 9999, cioè mai, la vita, orfana del tempo, rischia di essere senza senso.

É il male dell’ergastolano contro il quale, “per rimanere in salute occorre costruire una corazza, una seconda pelle”. Se non costruisci questa forma di protezione, rischi di morire presto: “Ho visto molti ergastolani morire in un anno e mezzo dall’ingresso in carcere e molti muoiono perché non riescono a superare anche una più piccola e banale delusione”.

Annino, la sua seconda pelle, se l’è fatta anche grazie all’aiuto della scrittura, che per lui “non è una forma di evasione, ma uno strumento per trasmettere qualcosa di propositivo”.

Uno degli ultimi suoi libri, “Mai – l’ergastolo nella vita quotidiana” (edito da Sensibili alle foglie), è stato presentato presso la facoltà di Giurisprudenza dell’Università Federico II di Napoli dalla dottoressa Francesca de Marinis di Antigone Campania, dal professore di diritto penale Sergio Moccia, dall’avvocato Domenico Ciruzzi e da Sandra Berardi dell’Associazione Yaraiha Onlus che si occupa di tutelare i diritti dei detenuti.

Oggi è raro che un detenuto si esponga per far valere i suoi diritti, non ha la forza e china la testa” dice Annino. “Io, per i miei libri, ho subito diverse ingiustizie: mi facevano quasi una perquisizione al giorno; dicevano che denigravo le Istituzioni”.

Manca poi un aiuto per affrontare la vita fuori dal carcere: “siamo un po’ come neonati, abbiamo bisogno di un sostegno per muovere i primi passi. Quando sono uscito per i primi permessi premio, non sapevo più fare neanche un biglietto – racconta Mele – sono stato giorni senza poter fare una telefonata, perché ero abituato ai telefoni a gettoni”.

Già dieci anni di carcere cambiano profondamente una persona”, dice Annino Mele e il professore Moccia con il capo annuisce.  Il parere è condiviso anche dall’avvocato Ciruzzi, secondo cui “il carcere è uno strumento che ha finito per produrre solo recidiva”.

Il fallimento è della politica che non applica la Costituzione e questa sconfitta spesso viene coperta dall’uso della detenzione che riguarda in gran parte le persone più deboli.

Il detenuto non nasce dentro il carcere, ma fuori”, dice Annino, perché è nella società che nascono le sofferenze e il male che porta a delinquere e “la politica dovrebbe capire e occuparsi di cosa sta succedendo nella società”.

(Francesco Capo)

Ecco l’intervista ad Annino Mele

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