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Pillole di Amarcord #10: la tragedia di Buccino in un’annata da dimenticare

In un periodo di isolamento ed emergenza, le pagine di un libro possono darci conforto. Ancora di più se raccontano la nostra storia cestistica e ci permettono di rievocare, insieme a loro, i momenti salienti della storia recente della JuveCaserta. Lo facciamo con alcuni estratti di ‘A 40 minuti dal paradiso’, il libro scritto nel 2010 da Sante Roperto e Camillo Anzoini.

La famiglia JuveCaserta negli anni si era rafforzata e legata, dentro e fuori dal campo, tra giocatori e dirigenti. Col tempo si era cimentato il rapporto tra coloro che vivevano gli allenamenti quotidiani, ma anche tra chi lavorava al di fuori del parquet. Uno dei dirigenti più validi e ottimo team manager era stato George Glouchkov che, nell’estate del 2008, dopo alcuni contrasti col general manager Betti, decise di andar via e accettare la proposta della Federazione Bulgara di occuparsi del settore squadre nazionali. Iniziò subito e con passione la sua esperienza, facendo la spola tra Sofia e l’Italia dove la famiglia e l’affettuosa moglie Lucia continuavano a vivere. Capii il suo entusiasmo quando, nel settembre successivo, in una telefonata quasi nel cuore della notte, mi spiegò di getto quante cose stava programmando. Eppure numerosi erano stati i pomeriggi trascorsi insieme negli uffici del PalaMaggiò o nel seguire dalla panchina gli allenamenti, magari al tavolo degli ufficiali di campo con Giorgio impegnato al cronometro dei 24 secondi e io puntualmente presente a distrarlo. Scattavano così le ire di Marcelletti e l’ilarità dei giocatori che allenandosi vedevano scorrere i secondi anche dopo aver tirato e altre volte erano costretti a chiudere una nuova azione in cinque secondi. Glouchkov era l’angelo custode dei giocatori, fu il primo europeo ad approdare, negli anni Ottanta, nella NBA (49 presenze a Phoenix) e nei suoi confronti i giocatori nutrivano una grande stima. Era stato il colpo di mercato che, nell’estate del 1986, compì Piero Costa, fresco general manager bianconero al posto di Giancarlo Sarti. E questo mite centrone di 208 cm, la ‘montagna bianca’ come qualcuno lo definì, non tardò a conquistarsi un posto speciale nel cuore dei tifosi e di una società nella quale rimase fino al 1990, con oltre 120 presenze e 10,5 rimbalzi di media a partita.

Quante risate, ancora a distanza di tempo, quando racconta del giorno in cui Diaz accompagnò e lasciò la madre all’aeroporto: imbarco e orario giusti, peccato che il volo era in programma per il giorno successivo, oppure quando un altro noto atleta italiano di quell’annata, persosi per le strade di Caserta, lo chiamò alle cinque di notte per chiedergli come tornare a casa propria. E ancora di più quando doveva spiegare, il primo giorno all’arrivo di un nuovo giocatore, che alla presenza del presidente Caputo se avesse voluto da bere era preferibile dire “vorrei una Pepsi” piuttosto che “vorrei una Coca-Cola”. Differenza molto profonda, come presto avrebbe inteso. La pazienza di Giorgio era davvero sconfinata. Tanto quanto la passione del pubblico casertano che si apprestava a vivere un anno difficile. Quella prima stagione nella massima serie iniziò infatti con la scomparsa di Francesco Cimino, uno dei nuovi soci da poco entrato nella JuveCaserta, e poi con la morte altrettanto prematura di Nunzio Mari, fotografo e amico di tutti i frequentatori del parquet casertano. Una tragedia ancora più grande sarebbe arrivata di lì a poco, quando a novembre sulla Basentana, nei pressi di Buccino, si sarebbe fermata per sempre la vita di Gigi e Paolo Mercaldo, di Gianluca Noia e di Manuela Gallicola. Quel triste 9 novembre 2008 (la gara del pomeriggio contro Pesaro fu ovviamente spostata) segnò in maniera incredibile la storia del sodalizio bianconero e di tutti i casertani. Di Gianluca Noia ricordo la compostezza nel seguire da assistente i suoi ragazzi e la paziente simpatia quando qualcuno attraversava la palestrina del PalaMaggiò, invadendo gli allenamenti della sua giovane squadra. Di Manuela invece il ricordo indelebile è la sua voglia di vivere, la sua allegria e il perenne entusiasmo, quando nell’intervallo ci si incontrava nel tunnel e il risultato ci penalizzava trovava il modo per infondere fiducia a tutti, oppure quando eravamo in ritardo per organizzare o portare a termine un’iniziativa, lei aveva sempre il sorriso e le parole giuste per trasmettere la voglia di andare avanti con più determinazione e più ottimismo. Questo sarà per sempre l’insegnamento che Manuela ha lasciato in coloro che hanno lavorato con lei. In quella stessa stagione, pochi mesi dopo, un’altra notizia addolorò la JuveCaserta. Scomparve un altro cuore bianconero, Angelo Palmiero, figura storica del settore giovanile bianconero, noto a chi ha lavorato in quegli anni al PalaMaggiò per la sua cordialità e la sua passione. Ci lasciava uno storico dirigente dalla grande competenza, dall’eccezionale discrezione e dall’indiscussa signorilità, come quella che aveva all’ingresso sulla porta della palestrina del PalaMaggiò, quando accoglieva col suo saluto giocatori e dirigenti delle squadre ospiti.

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