La Corte europea dei diritti umani (C.E.D.U.) ha condannato lo Stato italiano per come ha gestito dal 1994 la discarica in località “Lo Uttaro” nel Comune di Caserta.
La C.E.D.U. è un organo giurisdizionale internazionale legato al Consiglio d’Europa, creato nel 1959 per far rispettare la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo.
Nella sentenza, la C.E.D.U., nel ritenere che nel caso in specie vi fossero state numerose violazioni della Convenzione, indica in particolare che l’inquinamento causato dai rifiuti ha avuto un impatto negativo sul benessere personale dei ricorrenti durante la crisi creata dal mal funzionamento dei servizi di raccolta, trattamento e smaltimento dei rifiuti durante lo stato di emergenza in Campania dal 1994 al 2009 e che tale situazione continua per quanto riguarda la discarica a Lo Uttaro che a tutt’oggi le autorità italiane non hanno ancora messo in sicurezza o bonificato.
A rivolgersi alla C.E.D.U. il 23 giugno del 2010 sono stati 19 abitanti del comune di Caserta e San Nicola La Strada affermando che, aprendo la discarica Lo Uttaro e non provvedendo poi alla sua bonifica ed al ripristino ambientale, le autorità hanno messo a repentaglio la loro salute e violato il loro diritto a risiedere in un luogo in cui non dovevano subire le gravissime conseguenze dell’inquinamento prodotto dalla discarica stessa. Hanno sostenuto anche che lo Stato li stava discriminando non garantendo la stessa protezione data ad altri cittadini italiani. E infine di non aver potuto far causa per ottenere la restituzione delle tasse pagate per la raccolta e smaltimento dei rifiuti.
Oggi la C.E.D.U. gli ha dato piena ragione!
Nella sentenza i togati di Strasburgo hanno sottolineato che gli abitanti di Caserta e San Nicola La Strada “sono più vulnerabili alle malattie” perché hanno vissuto in un’area dove sono violate le norme di sicurezza sulla gestione dei rifiuti durante l’emergenza in Campania, e in cui “l‘inquinamento persiste e mette in pericolo la salute dei ricorrenti“.
In particolare, come riportato in un comunicato stampa emesso dalla stessa Corte, “il caso riguardava la crisi relativa alla raccolta, trattamento e smaltimento dei rifiuti nella regione Campania e l’inquinamento provocato da una discarica. La Corte ha constatato che l’inquinamento provocato dai rifiuti aveva avuto un impatto negativo sul benessere personale dei ricorrenti durante l’emergenza dei rifiuti dal 1994 al 2009 e che tale situazione era continuata per quanto riguarda la discarica, che finora le autorità italiane non hanno ancora messo in sicurezza né bonificato“.
La condanna dell’Italia giunge due giorni dopo che il Comune di Caserta – per una “coincidenza” che francamente appare per nulla casuale – ha ottenuto un finanziamento di 6,5 milioni di euro dalla Regione Campania per la messa in sicurezza permanente della discarica “Ecologica Meridionale“, in località Lo Uttaro. Ma questo intervento – che, se partirà, è comunque previsto nel 2024 – arriva troppo tardi e certamente non serve neanche a lavare la coscienza sporca di tutti gli amministratori della cosa pubblica fin qui succedutisi a livello locale, provinciale e regionale.
La vicenda della discarica Lo Uttaro a Caserta va di pari passo con la storia dell’emergenza rifiuti in Campania, dal 1994 al 2009. Lo Stato iniziò ad usarla proprio dal 1994, prima di allora era privata e si chiamava Ecologica Meridionale, quindi prese il nome dell’area in cui sorge.
Lo Uttaro è situata nella zona sud di Caserta al confine con i comuni di San Nicola la Strada, Maddaloni e San Marco Evangelista e nei pressi sorgono quartieri residenziali e insediamenti produttivi.
Per anni ha ricevuto rifiuti umidi per poi essere chiusa e riaperta nella primavera del 2007 – col nome Lo Uttaro 2 o Nuova Lo Uttaro – nel periodo più cupo della crisi rifiuti, quando i sacchetti di immondizia riempivano le strade dei comuni, in particolare delle province di Caserta e Napoli, arrivando fino ai primi piani delle case.
Con la discarica napoletana di Villaricca in esaurimento, Lo Uttaro 2 fu aperta in fretta e furia, in una sorta di continuità con l’invaso usato dal ’94 – Lo Uttaro 1 – e ciò avvenne nonostante le proteste dei cittadini casertani, visto che la bonifica del primo invaso non era avvenuta e che nell’area inoltre già sorgevano altre due discariche realizzate in altrettante cave di tufo, un sito di trasferenza dei rifiuti ed a fianco del famigerato “panettone” autorizzato dall’allora sindaco di Caserta Luigi Falco, ovvero una montagna di immondizia proveniente dalla Notte Bianca tenutasi a Napoli nel 2003 e rimosso solo nel 2010.
Lo Uttaro 2 fu invece aperta a seguito di un un protocollo d’intesa firmato nel novembre 2006 dal sindaco di Caserta Nicodemo Petteruti, dal presidente della Provincia di Caserta Sandro De Franciscis e dal commissario straordinario per l’emergenza rifiuti in Campania Guido Bertolaso.
La storia ci racconta di un invaso, aperto nel 2007, che rimase in funzione solo pochi mesi tra continue chiusure e riaperture. Fu sempre l’allora commissario Bertolaso ad ordinare di riaprirlo, prima opponendosi ad un decreto sindacale, poi ad un intervento del giudice civile di Napoli, a cui si erano rivolti i Comitati dei cittadini, fino a quando, nel novembre 2007, intervennero i carabinieri del Noe a sequestrarlo su ordine della Procura di Santa Maria Capua Vetere.
Ad inizio 2008 ci provò anche il nuovo Commissario Gianni De Gennaro a riaprirla, ma non vi riuscì e venne così aperta a Santa Maria la Fossa la discarica di Ferrandelle con la chiusura definitiva di Lo Uttaro.
Le indagini della Procura intanto diedero vita ad un processo sull’apertura e la gestione dell’invaso, conclusosi però senza colpevoli. Nel frattempo, per quasi un ventennio, la maxi-discarica formata da Lo Uttaro 1 e 2, per quanto chiusa, non è mai stata messa in sicurezza e nel 2019 la Procura di Santa Maria Capua Vetere ha sequestrato nell’area dodici pozzi utilizzati per le colture agricole e l’uso domestico risultati contaminati per decenni con l’arsenico usato per l’attività industriale.
Oggi che la Corte Europea ha fatto finalmente giustizia, resta comunque l’amaro in bocca al pensiero che purtroppo non vi sarà nessuno che pagherà – a livello civile e penale né politico ed etico – per tutti i cittadini residenti nelle vicinanze dell’area della maxidiscarica nel frattempo prima ammalatisi e poi morti per l’insorgenza di tumori vari.
E pensare che “qualcuno” – vero, sindaco Carlo Marino? – appena due anni fa voleva aprire a tutti i costi un maxi-biodigestore nel mezzo di un’area densamente popolata, a soli 570 metri di distanza in linea d’area dalla Reggia di Caserta, nella porzione casertana dell’area ASI, proprio nel bel mezzo delle città di Caserta, San Nicola la Strada, Casagiove e Recale, tanto per deliziare ulteriormente le rispettive collettività…
Ci sarebbe proprio da ridere se non ci fosse invece da piangere, soprattutto per i morti…